martedì 29 giugno 2010

L'amante di Lady Chatterley (David H. Lawrence)

Un romanzo di inizio novecento - scritto tra il 1925 e il 1928 - che è stato considerato osceno e a lungo bandito dalle biblioteche (che se pur l'avevano non lo davano in prestito) ma letto di nascosto da lettori di ogni età. Uno di quei romanzi che fanno parte della letteratura erotica classica, passato alla storia non solo per i riferimenti ad atti sessuali espliciti ma anche (o forse soprattutto) per lo scandalo segnato dal rapporto extraconiugale tra una donna di alto ceto, una borghese, ed un uomo appartenente ad una classe inferiore. Un lavoratore. Un servitore. Il servitore del marito di lei. Un romanzo messo all'indice in tutta Europa. Soprattutto in Inghilterra dove venne pubblicato solo negli anni '60.
L'edizione che ho letto io è Mondadori ed ha una copertina azzurra di quelle di carta, che vengono applicate su una copertina rigida piuttosto anonima.

L'ho preso in prestito in biblioteca - per questo non so dire quanto costi - faceva parte di una serie di libri allegati nel 2002 ad un periodico (o quotidiano, non ricordo bene) per cui non so dirne il prezzo. Non è un testo acquistato in libreria ma avuto in omaggio con altra pubblicazione e inserito nel patrimonio bibliotecario del mio comune.
E' stato pubblicato in diverse edizioni e in diversi periodi per cui in circolazione se ne possono trovare di diverso formato, copertina e con traduzione curata da diverse persone.
In 336 pagine scritte fitte fitte l'autore, David H. Lawrence (con traduzione di Serena Cenni), racconta la storia d'amore di Lady Chatterley, al secolo Constance Steward Reid, chiamata comunemente Connie, con il guardiacaccia Oliver Mellors: un uomo alle dipendenze del marito di lei, Sir Clifford Chatterley, paralizzato dalla vita in giù e costretto sulla sedia a rotelle. Incapace di camminare, impossibilitato ad avere rapporti intimi con la sua donna così come impossibilitato ad avere figli.

Una storia d'amore e di sesso che si intreccia con la storia di un'Inghilterra industrializzata, squallida, fredda, insensibile, volta solo all'ottenimento di denaro e allo sfruttamento della classe operaia. La classe operaia. Quella classe di inetti lavoratori che non hanno capacità di pensiero che non sia collegato alle proprie mansioni. Una classe da considerare inferiore in tutto e per tutto. Il grigiore dell'Inghilterra industrializzata viene contrapposto alla fresca descrizione di scenari naturali, incontaminati, ricchi di vita pulsante e feconda. A fronte di ciò, un'industrializzazione che appiattisce tutti e tutto sull'altare del dio "ricchezza". In questo contesto la differenza di classi sociali è fortemente sottolineata tra le pagine, con parole che arrivano come una lama tagliente dritta al cuore della questione.
E' questo il punto.
Sta qui lo scandalo.
Non è tanto il fatto che Connie abbia tradito suo marito, così come non sono le scene di sesso descritte in modo per niente volgare ed osceno (ovviamente questo lo dice una lettrice del 2010... all'epoca magari il comune senso del pudore avrebbe fatto dire diversamente... non che io non ne abbia, il senso del pudore, intendo, ma non trovo che le descrizioni di amplessi che sfociano per lo più nella reciproca soddisfazione sessuale siano scandalose, oscene, volgari o pornografiche. Assolutamente).

Tra le pagine si legge più il disgusto per l'idea che una nobildonna possa aver tradito suo marito, o - a prescindere dal tradimento - possa aver avuto rapporti intimi con un uomo di un ceto sociale più basso. E' questo che sconvolge l'ordine delle cose. E' questo che, probabilmente, disturbò maggiormente i lettori illustri dell'epoca. Non il resto. Lo stesso Clifford Chatterley non disdegna l'idea che sua moglie possa avere un figlio da un altro uomo (e ciò, ovviamente, presupporrebbe un tradimento alla fedeltà coniugale) anzi è lui che le chiede di pensare seriamente a dare un erede ai Chatterley che, pur essendo concepito da un altro uomo, sarebbe riconosciuto come suo e cresciuto come si deve. Sapere, però, che è un guardacaccia ad aver avuto rapporti fisici con sua moglie lo sconvolge, lo scandalizza, lo irrita.

Il linguaggio che viene usato nel descrivere la storia tra lady Chatterley e suo marito è un linguaggio chiaramente volto a rendere l'idea di una vita grigia, piatta, vuota per la giovane Connie. Lei, che ha sempre cercato il feeling intellettuale con i suoi uomini prima che quello spirituale, sentimentale o sessuale, si ritrova a vivere in una residenza che le sembra oramai una prigione. Nessun contatto fisico con suo marito rispetto al quale dorme in una camera separata. Nessun contatto fisico che sia mosso da una qualsiasi forma di amore o complicità, di desiderio fatta eccezione per quel contatto obbligato e sempre uguale che richiede il doversi occupare di suo marito disabile nelle sue operazioni di vita quotidiana, in ciò che non riesce a fare da solo.
Connie si è annientata, ha sempre lasciato che qualcuno guidasse la sua esistenza in una direzione obbligata che però rischia di portarla verso la rovina. Rovina fisica, perché il suo corpo sembra aver vissuto milioni di anni, tale è lo stile di vita che ha assunto. Rovina mentale, perché costretta ai soliti, abitudinari discorsi con un marito che oramai sente troppo distante da se.

Oliver Mellors entra nella sua vita per caso, in un momento in cui tutto cercava tranne che la complicità di un uomo. E' un uomo schivo ma evidentemente di livello culturale ed estrazione sociale diversa dal resto degli operai, pur vivendo una vita da semplice sottoposto. Con lui Connie instaura uno strano rapporto. Un rapporto di odio e amore, di piacere ed anche indifferenza, a volte. Un rapporto fisico intenso per lui, strano per lei, ma comunque appagante. Si sente nuovamente viva da quando Mellors ha risvegliato la femmina che è in lei, da quando le sue mani hanno saputo toccare le giuste corde del desiderio, da quanto la sua prestanza fisica si è messa a servizio del piacere di lei.
Un tradimento nascosto agli occhi di tutti, una storia di sesso e di sentimento che non potrà restare per sempre nascosta e segreta agli occhi degli altri.

Connie è una sovversiva. Una sovversiva dell'ordine naturale delle cose che - a quell'epoca - la vorrebbe tranquilla accanto ad un marito facoltoso che non le fa mancare nulla. Nulla di materiale, perché per il resto... Lei si ribella allo stato di cose che dovrebbe invece rassegnarsi a subire e si ribella senza rendersene troppo conto, all'inizio, ma dando una spallata ad un sistema che resta scandalizzato dal suo modo di fare così impertinente ed offensivo per la società borghese tutta.

A parte questo concetto - più o meno condivisibile... che io non condivido ma, lo ripeto, sono una lettrice del 2010 - dello scandalo dovuto all'incontro "fisico" tra appartenenti a classi sociali diverse, ciò che meno mi è piaciuta è la parte iniziale di un romanzo che secondo me parte un po' troppo lentamente. Un po' noiosi i dialoghi sul lavoro, sull'economia, sulle miniere. Prima di entrare nella storia vera e propria bisogna quasi arrivare a metà del libro per poi vivere un'accelerazione delle vicende che mi ha portata ad essere impaziente di arrivare alla fine. L'autore è molto meticoloso nelle descrizioni degli ambienti, dei paesaggi, delle scene ma molto delicato nei riferimenti relativi a momenti di passione tra i protagonisti (non dico tra i due perché Connie avrà anche un altro amante, prima di Mellors).

E poi il finale.
Mi è sembrato un finale aperto. Uno di quei finali che appaiono un tantino prevedibili e che lasciano spazio ad un prosieguo per capire come realmente la storia va a finire, cosa ne sarà di quei personaggi.
Anche quel senso di accettazione/rifiuto che pervade Connie nei confronti di Mellors mi ha un po' disturbata soprattutto quando, nel descrivere momento intimi, lady Chatterly passa quasi come una martire che subisce l'impeto altrui... ma non è affatto così.
Tirando le somme L'amante di Lady Chatterley mi è comunque piaciuto. Un racconto carico di sensualità, raccontato da una "penna maschile" - visto che l'autore è un uomo - che, pur non scendendo troppo in dettagli, rende i momenti di incontro tra Connie e il guardacaccia come momenti intensi, sempre... Gli assegno quattro stelline per via della prima parte un po' troppo lenta e per il finale un po' scontato. Ma mi è piaciuto.

Una curiosità: sembra che la storia sia ispirata al reale tradimento della moglie di Lawrence e solo anni dopo dalla pubblicazione del libro si scoprì che il personaggio del guardiacaccia era un italiano, tal Angelo Ravagli, intervistato prima che morisse da Alberto Bevilaqua che ha poi scritto un libro sulla vera storia che ha ispirato il romanzo. "Attraverso il tuo corpo".
***
L'amante di Lady Chatterley
David H. Lawrence
Mondadori
336 pagine

venerdì 25 giugno 2010

I due liocorni (Silvia Ziche, Roberto Grotti)

C'è qualcuno che li ha visti in giro, per caso i due Liocorni? Ce lo stiamo chiedendo con una certa insistenza, in questi giorni, che fine abbiano fatto quei due. Noè si è dimenticato di loro, gli altri animali non hanno certo dato una mano (con due animali in meno nell’Arca si sta più larghi, giusto?) e il diluvio non è stato certo ad aspettare. Così non si sa che fine abbiano fatto…

La canzone I due liocorni è un gran classico per i bambini più piccoli ma negli ultimi tempi l’abbiamo riscoperta in una versione che ai miei bimbi piace ancor di più di quanto non accadesse in precedenza: l’audiolibro.
Io trovo che sia una sorta di Karaoke per i più piccoli: un libro piccino, definito sul retro della copertina come parte della collana Gli indistruttibili 3, questo è il suo nome. Denominazione che probabilmente arriva per via le sue particolari caratteristiche di grammatura della carta utilizzata (o meglio cartone) e per essere a prova di bimbo.
Da questo punto di vista non sono del tutto d’accordo: il formato è piccino e maneggevole – 12,5 x 13,5 cm – e proprio per questo i miei bimbi fanno a gara per tenerlo in mano, sfogliarlo, cantare guardando le figure. Cantare, esatto, perché si tratta di un libro che oltre ad essere illustrato e a riportare un testo che altro non è se non la canzoncina che a loro piace tanto, è munito di un cd in cui è incisa tale canzone.

Il libro è edito da Gallucci Editore ed è un’edizione diversa da quella, di formato più grande, che è stata di recente edita da Mondadori (su licenza Gallucci) e di cui abbiamo un esemplare in casa: Sei forte papà! Questo libro è più piccolo nelle dimensioni, le pagine sono più spesse e realizzate in cartoncino lucido, costa meno dell’altra versione (libro + cd 8.90 euro) ed è stato stampato in Cina da Leo Paper Ltd per conto di Gallucci Editore. Qeusto mi spiace un po' (anche se non mi meraviglia) perchè credo che anche in Italia ce ne siano di tipografie capaci di stampare un libro così ma credo che, ormai non è più una novità, sia una questione di costi. Comunque questo fatto non incide sulla qualità del rpodotto finito. E poi sull’ultima di copertina, in merito alla stampa, è indicato che il libro è stato stampato nel rispetto del Codice di Condotta, che garantisce l’applicazione delle norme sul lavoro ed esclude l’impiego di minori!


La canzone prende vita proprio come un karaoke: mentre i grandi riescono a cantare leggendo le parole, i piccoli lo fanno aiutandosi con le figure. Nel caso di questa canzone, magari, vanno già a memoria per il ritornello ma per le strofe si fanno aiutare. C’è da dire, però, che restano spiazzati nel momento in cui, dopo il primo ritornello e la prima strofa, si trovano a seguire la musica che propone di nuovo il ritornello ma sul libro non lo trovano ripetuto visto che viene proposta subito dopo la strofa successiva. Io li ho lasciati fare: ci hanno messo un po’ a capire che visto che le parole sono le stesse non devono fare altro (se vogliono aiutarsi con le figure) che ricominciare da capo ma alla fine lo hanno capito.
Nessuno dei due sa leggere (la più grande ha quattro anni) ma dopo aver ascoltato per diverse volte la canzone con il libro in mano hanno capito.

Si tratta di un libro indicato per bimbi dai tre anni in su e leggendo l’elenco di tutti gli altri titoli che fanno parte della collana ne conto altri 23. Noi ne possediamo quattro, per il momento (oltre a questo, 44 Gatti, Ci vuole un fiore e Il caffè della Peppina) cui si somma, come dicevo, Sei forte papà nella versione della ristampa Mondadori.

I disegni sono di Silvia Ziche. Le sue prime tavole vennero pubblicate su Linus nel 1987 per arrivare, ben presto, su Comix, Topolino, Smemoranda e Cuore. Oltre alla realizzazione di strisce e vignette si occupa anche della scrittura di lunghe storie a puntate. Collabora con la Disney ma ha anche una produzione autonoma. Il suo stile è ironico, giocoso, divertente. I personaggi sono buffi e stappano un sorriso.
Gli animali che compaiono sul libro de “I due liocorni” sono in linea con la simpatia della canzoncina: i Liocorni sono i più spassosi di tutti… Vengono illustrati anche dopo il diluvio ed hanno un aspetto davvero simpatico… Secondo la penna di Silvia Ziche sono tutt’altro che scomparsi o affogati… Se la spassano su paperelle gonfiabili e salutano con un mega-sorriso. Le illustrazioni sono proposte a tutta pagina. Anzi, sono proposte su tutte e due le pagine contigue e riempiono la maggior parte dello spazio disponibile. Un simpatico Noè, tutt’altro che preoccupato, viene mostrato alle prese con le “fatiche” dell’Arca con un certo gaudio, come se si volesse compiacere del fatto di essere il prescelto, per salvare le specie. I bambini si divertono molto nel guardare le immagini ed è un gran divertimento anche per me sentirli cantare allegramente e fare le imitazioni degli animali dell’Arca.

Una nota a margine spetta alla canzone.
Il testo è stato scritto da Roberto Grotti, citato come autore nel libro in oggetto. Onestamente si tratta di un nome che non mi dice molto. Non ho mai saputo chi fosse l’autore delle parole di quella canzoncina che anche io da piccina cantavo. Così come non sapevo che la canzone fosse stata scritta nel 1976 (io avevo giusto l’età di mia figlia) ma ad uso e consumo del coro della sua parrocchia per intrattenere gioiosamente i bambini del catechismo. Si intitolava all’epoca “due coccodrilli” e probabilmente non avrebbe mai immaginato la diffusione a macchia d’olio (e l’attualità nel tempo) di una canzoncina così. Un esempio lampante di una canzone nata per caso e diffusasi quasi di bocca in bocca. Nel 2006 questa canzoncina è finita nel cd che è stato pubblicato assieme a questo libro ed è stata cantata non da un coro di bambini di catechismo ma di un coro che, a dire il vero, mi è sconosciuto tanto quanto i bimbi della parrocchia di Grotti. È il Gruppo Caravan (mai sentito prima d’ora) nelle persone di Alice, Francesco, Guya Giuditta, Maddalena e Michele. Voce solista Ciro Picciano. Tastiera Enzo Bocciero. Arrangiamento Marina Valmaggi. Non si tratta di un’esecuzione sofisticata, come quelle dei pezzi più noti dello Zecchino d’Oro o altre cantate da cantanti famosi (penso a Ci vuole un albero o Sei forte papà) ma è efficace perché il coro è fatto di voci bianche molto familiari ai bambini – anche se a loro effettivamente sconosciute – e la musica nella sua semplicità è capace di trascinare e coinvolgere in modo semplice ma d’effetto.
Che si tratti della versione originale? Posto che, stando le cose così come narrato circa l’origine delle parole, credo di poter dire che la versione originale di questa canzone sia quella cantata dal coro del catechismo… Probabilmente quella che ho trovato nel cd allegato al libro è l’incisione originale… anche se credo che in circolazione ci siano esecuzioni di questa canzone realizzate da parte di tanti altri cori… Non so se quello dell’Antoniano, ora che ci penso, abbia mai provato a cantare questa canzoncina! Probabilmente si ma non mi risulta che ci sia un’incisione ufficiale del pezzo che gli appartenga.

Il cd non è contenuto in una bustina ma è semplicemente agganciato ad un perno centrale, di plastica, di quelli che vanno premuti al centro per poterlo prendere in mano. Ciò agevola le “operazioni” da parte dei piccoli visto che vogliono fare tutto da soli (oramai sanno come si accende o si spegne il lettore). La presenza del cd si vede ad occhio nudo non solo perché fa spessore sull’ultima pagina ma anche perché sull’ultima di copertina c’è un foro che lascia intravedere il colore argentato del cd (quello che va letto dal lettore tanto per capirci). Quanto si toglie il cd per ascoltarlo da quel foro si vede un personaggio che fa capolino dall’altra pagina corrispondente: chi poteva essere se non uno dei due liocorni?
Grazie a questo librettino abbiamo imparata la terza strofa, quella che a noi è sempre mancata. Ne abbiamo sempre cantate due, con Noè che non poteva più aspettare e si vedeva costretto a chiudere l’Arca.

Per quanto riguarda la reperibilità posso solo dire che io l’ho acquistato in una libreria on-line. Non so se anche questa canzoncina sia stata riproposto nell’edizione più grande da Mondadori, quella che ho trovato in edicola. Posso solo dire che avendo usufruito di un buono sconto accordatomi dalla libreria per acquisti precedenti e avendo avuto spese di spedizione gratuite, tutto sommato il prezzo di copertina di 8.90 euro è stato ulteriormente abbattuto.
Lo consiglio se avete bimbi. Trovo che sia anche una simpatica idea regalo che farà felici i più piccoli e divertirà anche i grandi perché anche io, lo ammetto, mi metto in mezzo alla stanza ad imitare il gatto, il topo e l’elefante!
***
I due liocorni
Silvia Ziche, Roberto Grotti
Gallucci Editore
8.90 euro
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Dedico questa recensione al mio bimbo, Alessandro, che oggi ha compiuto tre anni e che adora cantare "...un dì Noè nella foresta andò...!".

martedì 22 giugno 2010

Me lo dici in bambinese? Come capire i nostri figli (Tommaso Montini)

Probabilmente mi sono posta alla lettura del libro di Tommaso Montini – Me lo dici in bambinese? Come capire i nostri figli – con troppe aspettative. Mi aspettavo di avere qualche suggerimento concreto su come riuscire ad interpretare i comportamenti ed i messaggi che, a volte, non riesco a decifrare al meglio nei miei bimbi… il titolo mi ha indotta a pensare ciò.

Per questo la lettura mi ha un pochino delusa. Non perché sia un libro da evitare. Non voglio dire questo. Il punto è che gran parte di ciò che viene detto sono osservazioni che conoscevo già, lette in riviste, lette in siti internet a tema… e molte sono riflessioni che riguardano bimbi più piccoli dei miei.
Delusa al punto di assegnare a questo libro tre stelline su cinque. Ed anche di consigliarlo purché si tengano presenti alcuni aspetti.
Per prima cosa: lo consiglio a chi fosse neo-genitore o avesse bimbi ancora piccoli. E per piccoli intendo neonati. La prima parte del libro è destinata proprio a genitori con bimbi in questa fascia d’età.
E poi non c’è da aspettarsi di leggere nulla di più di ciò che il buonsenso di un genitore dovrebbe sapere già e cioè che l’unico segreto per instaurare un rapporto aperto, sereno e positivo con i propri figli altro non è se non l’amore, la tenerezza, l’intimità.

Tommaso Montini è un pediatra che ha già scritto un altro libro in merito al mondo dei piccoli (libro che io non ho letto per cui non ho modo di fare confronti o valutazioni parallele): è un pediatra che mette a disposizione dei lettori la sua duplice esperienza pediatra-padre. E’ proprio grazie a questa sua capacità di mixare le due esperienze che il linguaggio che usa non è ne propriamente tecnico – come potrebbe capitare ad un dottore – ne’ troppo pratico – come potrebbe capitare ad un padre. E’ un linguaggio semplice, diretto e sempre molto positivo anche nel descrivere le situazioni più difficili quando arriva un bimbo e durante la sua crescita.
Il libro è pubblicato dalle Edizioni Paoline e dal punto di vista grafico e strutturale non è affatto male. Di un formato leggermente diverso dai soliti libri, ha una copertina in cartoncino lucido con la bella immagine di una bimba, pubblicato nel 2009 e per un totale di170 pagine. Tante sono le pagine “da leggere” poi ci sono delle schede riassuntive – a mo’ di messaggio da ricordare e fissare nella mente – oltre che i ringraziamenti e l’indice. Il libro è strutturato in capitoli non molto lunghi e di facile lettura. Eppure in alcuni punti non mi scorrevano affatto. Probabilmente perché li trovavo poco interessanti e non mi lasciavano nulla, tra quelle righe non leggevo nulla di nuovo. I capitoli sono 20 e seguono più o meno le tappe della crescita del bambino a partire dal pancione e da ciò che questo vuol dire per una donna, per una coppia.

Il titolo mi aveva indirizzata male. Me lo dici in bambinese? mi aveva fatto pensare ad una richiesta che un bimbo potrebbe fare ad un adulto per poter ben comprendere ciò che gli viene chiesto, e non il contrario. I bambini il bambinese lo parlano già, per cui non potrebbe essere il contrario. Il “bambinese”: un linguaggio da imparare ma che credevo fosse qualche cosa di diverso da ciò che viene presentato. Il “bambinese” viene inteso come la lingua che l’adulto deve saper parlare per relazionarsi con il suo bimbo. Nel titolo si dice come capire i nostri figli, non come comunicare con loro. Se avessi potuto suggerire un titolo all’autore avrei suggerito quest’ultima specifica, piuttosto che quella che ha scelto e che trovo un po’ fuorviante. La richiesta di parlare in bambinese poco si concilia con la specifica successiva… come capire i nostri figli. Il titolo mi sembra un po’ dissonante tra la sua prima parte e la seconda. Magari è solo una mia impressione, ma mi ha mandato fuori strada.
Complessivamente trovo comunque molto positivo che un pediatra si tolga – seppur in parte – i panni del dottore per affrontare tematiche anche con l’esperienza di un padre. Spesso si fa fatica a mettere in pratica ciò che i pediatri suggeriscono perché l’esperienza “sul campo” dice qualche cosa di diverso da ciò che si dovrebbe mettere in pratica. Senza voler aprire nessun paragrafo in merito ai pediatri – credo che se ognuno iniziasse a raccontare la propria esperienza ne verrebbe fuori un dipinto piuttosto colorito! Ovviamente senza generalizzare… - trovo che le osservazioni fatte alla luce dell’esperienza di padre siano più comprensibili da un lettore-genitore e probabilmente ci si pone nei confronti della lettura in maniera più positiva di quanto non si farebbe davanti ad un libro scritto da un pediatra che i bimbi li consoce, ma non li ha!

Ciò che maggiormente mi ha stupita l’ho letto tra le righe del capitolo in merito al ciuccio, allo svezzamento (capitolo da leggere e rileggere, care mamme, per affrontare con serenità questo particolare momento così importante per i bimbi più piccoli) ma anche le riflessioni in merito al gioco, allo sport, all’attività fisica. Tre capitoli che ho letto con maggiore interesse di quanto non abbia fatto con gli altri e che potrebbero sembrare poca cosa nel complesso dei 20 capitoli ma non è così. Pur avendo qualche aspettativa in più rispetto a questo “bambinese”, ho comunque trovato spunti di riflessione interessanti e ragionamenti di cui fare tesoro. Per i più piccini – non è il mio caso – ho trovato interessante anche la teoria sugli effetti-conseguenze del tenere spesso in braccio il piccolo! Dovrebbero leggerlo anche le nonne e le persone sotuttoio un libro così! (non me ne voglia nessuno ma spesso una neo-mamma si trova davanti ad una serie di consigli – non richiesti – da parte di chi le sta accanto che più che fare chiarezza le fanno una gran confusione in testa). Ebbene, pur essendo un libro che mi sembra scritto principalmente per le mamme, credo che la lettura sia consigliabile anche ai papà e ad altri membri della famiglia che pur non essendo i genitori diretti del bimbo in questione, vi stanno a stretto contatto. Con lui così come con la sua mamma!
Una lettura che non mi ha lasciata indifferente ma da cui mi aspettavo qualche cosa in più.Comunque un libro che consiglio soprattutto a chi è diventato genitore da poco così come a chi è in dolce attesa. Questo non vuol dire che sia una lettura sconsigliata a chi avesse bimbi più grandi, ma con i limiti che ho cercato di illustrare poco sopra. Tenete presenti le mie riflessioni di mamma per non avvicinarvi ad una lettura così con le mie stesse, alte aspettative… così da non restare delusi.

Alla fine della lettura, questo bambinese l'ho imparato oppure no? Bhè, ho capito che si tratta di un liguaggio che parlavo già... che magari doveva essere perfezionato. Un linguaggio fatto di amore, di tenerezza, di complicità... più che di parole, è un linguaggio fatto di gesti e di coinvolgimento totale. L'unico modo per capire i propri figli e per farsi capire credo che sia proprio questo: amarli senza limiti, amarli accettando i loro limiti di bambini, amarli accettando i nostri limiti di genitori imperfetti. Un linguaggio semplice quanto diretto, spesso difficile da mettere in pratica ma naturalmene presente in ognuno... solo che a volte si fa fatica a trovare il giusto modo di esternarlo!

Permettetemi, in chiusura: per capire e farsi capire dai nostri figli non ci sono libri che possano dare consigli universali... ogni rapporto tra genitore e figlio è unico e il dialogo si impara strada facendo... però una lettura così può aiutare se non altro a riflettere.

Dimenticavo un particolare: come ho conosciuto questo libro… come mi ha incuriosita… Non in libreria, non sbirciando on line ma perché mi sono imbattuta in una trasmissione televisiva durante la quale veniva sponsorizzato questo libro dal presentatore (presentatrice) con l’autore accanto. Stavo facendo zapping per cui non ho sentito la presentazione completa – magari se l’avessi sentita avrei capito che poteva essere più adatto a genitori in erba (non che io abbia chissà quale esperienza, ma la mia bimba più grandi ha quattro anni per cui abbiamo superato alcune delle fasi di cui si parla soprattutto nella prima parte) e mi sarei posta alla lettura in modo diverso. Fatto sta che quel poco che ho sentito mi ha incuriosita ed ho pensato che potesse essere una lettura istruttiva per un genitore. Ed in effetti ho imparato qualche cosa di nuovo… per questo è una lettura che consiglio, seppur con i suoi limiti.
Io l’ho comprato ad un prezzo più basso di quello di copertina perché l’ho trovato in una libreria on line che applicava degli sconti. Non so dire se sia facilmente reperibile nelle librerie tradizionali proprio per via del fatto che l’ho comprato on line. Era disponibile immediatamente e ad un paio di giorni dall’acquisto era a casa mia.

Da leggere ma senza troppe aspettative.
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Me lo dici in bambinese? Come capire i nostri figli
Tommaso Montini
Edizioni Paoline
12.00 euro
176 pag.

lunedì 21 giugno 2010

Maxi Peekaboo arriva Natale (YoYo Books)

Non siamo in periodo natalizio, è vero, ma il libro Maxi Peekaboo arriva Natale che abbiamo preso in biblioteca la scorsa settimana è piaciuto ai miei bimbi anche se fuori stagione.
A sceglierlo è stata la mia bimba che è stata catturata dalla copertina “morbidona” e dalle dimensioni piuttosto compatte del libro. Quadrato, piuttosto resistente e colorato, con tante pagine che riservano quelle sorprese che a lei, così come al suo fratellino, piacciono tanto.

Al suo interno non viene narrata una storia natalizia, come ben si potrebbe pensare, ma vengono indicati dei piccoli quiz, frasi interrogative alle quali il bimbo può rispondere andando alla scoperta delle varie sorprese che sono celate ai suoi occhi ma che ben presto troverà visto che nelle pagine di destra ci sono delle immagini con il “doppiofondo”: un intaglio nella pagina fa capire ce il cartoncino può essere sollevato e sotto all’immagine principale si trovano delle immagini nuove che aiutano a rispondere all’interrogativo.
Un esempio?
Che cosa sta appendendo il pinguino sull'albero?
Basta sollevare la finestrella in cartoncino sopra all'alberello di Natale per vedere che sta appendendo una pallina colorata!

Le immagini sono molto semplici e di immediata individuazione anche per i bimbi più piccoli e su ogni disegnino è scritto il nome dell’oggetto rappresentato. I bimbi riescono a leggere le immagini ma è comunque indispensabile l’aiuto di un adulto per poter leggere le frasi interrogative alle quali rispondere ed anche le paroline più difficili.

L’unico neo che ho trovato in questo libro è il fatto che alcune parole sono ripetute più e più volte (assieme ai disegni, ovviamente) e alla fine ci si può annoiare un po’ soprattutto dopo che si è scoperta ogni sorpresa e si è risposto ad ogni interrogativo. Memorizzate le paroline la mia bimba si stanca…

Le finestrelle di cartoncino sono piuttosto resistenti e si prestano ad essere aperte più e più volte: leggendo le varie immagini (perché è questo che fanno i bimbi, leggono i disegni dicendo il nome di ciò che vedono ad alta voce) si arricchisce il vocabolario dei piccoli lettori e si riesce a rendere il tutto più divertente inventandosi una storia con quegli oggetti, non solo leggendone i nomi.
La collaborazione degli adulti, come al solito, è fondamentale!

Noi lo abbiamo trovato in biblioteca. Sull’ultima di copertina è stampato il prezzo di 6.50 euro. E’ un’edizione YoYo Books ed è stampato in China.
Lo consiglio (meglio se nel periodo natalizio) come regalino per un bimbo che apprezzerà, tanto più se chi lo dona si siederà con lui sul divano a leggerlo insieme.
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Maxi Peekaboo arriva Natale
Yoyo Books
6.50 euro

venerdì 18 giugno 2010

Sorrisi dal mistero (Alberto Bevilacqua)

Ho trovato il libro Sorrisi dal mistero tra vecchie riviste che avevo conservato in un cassetto dimenticato. Un'edizione de I miti Mondadori del 2000 anche se il romanzo è precedente, pubblicato se non erro nel 1999.

Lo avevo riposto nel cassetto senza leggerlo perchè, a dire il vero, non si tratta di un autore che mi abbia mai interessato più di tanto. Visto che avevo appena terminato la lettura di un altro libro, mi sono sentita attratta da quella copertina che, a ben guardare, nell'edizione I miti Mondadori è diversa da quella del libro del 1998. Un'immagine d'impatto - quella proposta in copertina - che ben incarna l'eros, la tematica che è, da sempre, l'ispirazione più profonda di un autore italiano che, avendo vissuto, suo malgrado, in ambienti in cui l'erotismo si respirava nell'aria, trasmette con i suoi scritti ciò che ha imparato, vissuto, provato durante l'arco della sua vita.
E' il primo libro di questo autore che mi capita di leggere (ma non il primo che egli abbia scritto) e non so dire se alcuni riferimenti ad un libro precedente, I sensi incantati, per essere capiti appieno richiedano la lettura di tale libro. Fatto sta che io non lo conoscevo nemmeno di nome per cui mi è sembrata una forzatura quella di richiamare - non credo ce ne fosse bisogno - per forza quell'opera precedente. Tra l'altro si legge una specie di auto-celebrazione che mi ha un po' disturbata.

Sorrisi dal mistero.
Si tratta di un racconto in persona. E' Alberto Bevilacqua che parla della sua vita. Dei suoi amici, dei suoi amori. Lo fa in modo non troppo ordinato, a dire il vero. Questa l'impressione che ne ho avuto io.
Lui, uno degli acrobati della vita: un gruppo di amici molto particolari, ognuno con le sue peculiarità, con i propri modi di fare, abitudini e necessità. Tutti accomunati da un'amicizia funambolica, quella che accomuna persone che sono pronte a fare acrobazie nella loro vita.
Quelli di cui parla Bevilacqua sono amici che già dal loro soprannome rendono l'idea di dare vita ad una "banda" un po' speciale.
La Pasionaria, Fiodor, Zamora, Rondine e Pepper. E c'è lui. Il narratore. Colui che narra l'incontro con una giovane donna misteriosa, dal passato misterioso e sconosciuto anche a lei stessa, dal presente sconvolgente, sbandato, fuori da ogni canone di normalità, apparentemente senza futuro. Stori di vita che vengono narrate a tratti, quasi come delle pennellate di colore calate su una tela bianca che si compone, pian piano, di forme prive di contorni definiti. Ogni pesonaggio ha una personalità che viene tratteggiata, secondo me, tanto da lasciar intendere senza andare troppo in profondità.

Amina. Così l'autore chiama quella giovane che pian piano rivelerà tutta la sua sofferenza, quella sensazione di vuoto e di rifiuto che una vita ai margini le hanno lasciato addosso.
Pian piano tra i due nascerà un legame molto forte, un legame fatto di rispetto, di affetto, di protezione paterna per una giovane che ha bisogno di essere guidata verso la felicità. E verso la verità. Quella verità a lei sconosciuta che solo dopo un viaggio - fisico e spirituale - verso il suo io le verrà svelato con tutta la sua tenerezza e profondità.
Laura è il suo vero nome.
Una ragazza perduta, in balia del sesso concesso a chi capita, della droga, della violenza. Tutte facce della stessa, vuota, esistenza.
L'autore aiuta questa ragazza nel suo cammino verso la vita e lo fa con affetto, tenerezza, rispetto.
Dal suo viaggio arriveranno, all'autore, lettere scritte di suo pugno, segno tangibile della sua "purificazione" e "redezione". Lettere intense, profonde, a volte anche confuse...
Il rapporto tra i due non mancherà di avere un risvolto passionale (ho sempre immagina Bevilacqua come un autore molto passionale nei suo scritti... pur non avendo mai letto nulla di suo) che sarà quasi come l'evoluzione naturale di ciò che, durante il racconto, viene narrato come un contatto-non contatto, un tacito accordo sul non avvicinarsi troppo e non superare quel limite che si è stabilito tra i due e che non riduce quel rapporto ad essere uno dei tanti.
L'intero libro ha un unico perno: il mistero. Il mistero della vita quotidiana, quello celato dietro una storia folle, una passione, un legame. Il continuo rimando al termine "mistero" mi ha un po' indispettita, quasi come se si volesse per forza richiamare quel leit motif anche quando apparentemente si stava parlando d'altro.
E poi la narrazione, delicata e appassionata, è vero. Ma a tratti un po' confusa, come se si volessero lasciare sul piatto tessere di un mosaico che il lettore deve comporre da sé.

Una narrazione poco lineare, a tratti. Musicale, delicata ma a volte poco lineare. Questo è ciò che mi ha maggiormente spiazzata nella lettura di questo libro. Probabilmente è stato il pedaggio che ho dovuto pagare - questo mio smarrimento - per la mia iniziazione alle opere letterarie di un Bevilacqua che non conoscevo, se non di nome e di fama.
E' come se venissero narrate storie e fatti fine a loro stessi... come quanto l'autore parla delle donne avute in passato. Trovo che non fosse proprio necessario un riferimento del genere. O, probabilmente, sono io che non sono riscita a capire appieno l'opportunità di una narrazione di questo genere.
Come dei flash back, delle immagini sparse che galleggiano sopra ad una storia che in se è piuttosto semplice. Vite che si incontrano, che fanno parte di un unico quadro che in alcuni momenti stena a prendere forma.
E forse, in alcuni passaggi del romanzo, è stata proprio l'immagine dell'autore - così come lo conosco io dalla tv - mi ha ancor più spiazzata perché ho fatto fatica a vedere quel volto, quelle mani, quella voce in determinate circostanze narrate.

La storia mi è sembrata un po' troppo inverosimile. Una ragazza che entra nella vita di un uomo senza un perchè ma in modo tanto intenso e tanto forte da farsi guidare verso un viaggio che intraprende senza meta, da sola, senza pensieri per ciò che si lasciava alle spalle (che, a dire il vero, da come viene descritto dall'autore non era poi granchè) e che si fa redimere da questo viaggio. Un viaggio interiore più che fisico che la porta a maturare nuove sensibilità verso se stessa ed il mondo che la circonda, un nuovo modo di essere e di relazionarsi con la vita.
Non dico altro in merito alla trama perchè altrimenti non c'è gusto nella lettura di chi non l'avesse già letto, questo libro. C'è un altro episodio che mi sembra piuttosto inverosimile, legato al passato di lei che diventerà poi il suo presente. Più che altro è il ruolo che avrà il protagonista in merito a questa storia. Anche qui trovo che l'autore si sia voluto attribuire un ruolo un po' forzato ed esagerato ma lascio a chi volesse addentrarsi in questa lettura il "piacere" di scoprire il perchè.

Le 230 pagine in cui si struttura il libro non hanno richiesto un lungo periodo di lettura ma solo perché non ho voluto soffermarmi a capire, per bene, alcuni passaggi, quelli che mi hanno maggiormente spiazzata perché palese richiamo a qualche cosa che non riuscivo ad afferrare per bene.

Una lettura che non mi ha convinta del tutto. Mi ha aiutata a conoscere un autore di cui ancora non avevo letto nulla ma non è una lettura che mi ha particolarmente colpita. Magari è un mio limite, non so. Però non riesco a consigliarlo a cuor leggero perchè chi seguisse il mio consiglio potrebbe restare con quell'amaro in bocca con cui sono rimasta io.
***
Sorrisi dal mistero
Alberto Bevilacqua
I miti Mondadori
230 pagine

giovedì 17 giugno 2010

Il mio corpo (YoYo Books)

Semplice, intuitivo (fin troppo) e per bambini piccini piccini.
Il libro Il mio corpo preso di recente nella nostra biblioteca comunale è un piccolo dizionario di base che aiuta i bambini a conoscere il loro corpo.
Illustrazioni semplici e molto colorate, su pagine piuttosto resistenti e facili da sfogliare anche per le manine più piccole, aiutano i bimbi a leggere le immagini.
Eh si, è proprio così. Perchè non sapendo ancora leggere le paroline, guardare un'immagine e riconoscerla a voce alta vuol dire, per i nostri piccoli, leggere le immagini.

Si tratta di un libro quadrato, dalla copertina morbida, studiato per finire in mano ai più piccoli.

Fa parte della collana Il mio primo dizionario che si completa poi con altre edizioni tematiche, strutturate sempre allo stesso modo e che si aiutano con le immani: a tema natalizio, gli animali, i numeri, la musica, la scuola e così via discorrendo.

Protagonisti di questo libro educativo sono due bimbi che sono disegnati in modo molto semplice, con i loro faccini rotondi e i loro abiti colorati. Sono semplici anche da disegnare, questi bimbi, in modo da prolungare sottoforma di gioco l'insegnamento che arriva da libro.

Le varie parti del corpo sono, di volta in volta, evidenziate da una freccetta e non sempre i miei bimbi - la prima volta che hanno avuto il libro tra le mani, perchè poi hanno memorizzato in fretta - sono stati capaci di dare un nome a ciò che veniva indicato dalla freccia.

Qualche problemino è arrivato per la mandibola, per esempio. La mia bimba ha voluto capire bene di cosa si trattasse... e non mi è sembrata molto convinta. Poi ha lasciato stare perchè, andando avanti, ha trovato qualcosa di molto più interessante: lo scheletro.

Domande a raffica, a tal proposito: dove sta questo scheletro, me lo fai vedere, perchè non si vede, di che è fatto, come fanno le ossa a stare attaccate e a farmi muovere?

Insomma, abbiamo avuto un bel da fare.

Lo consiglio per bimbi piccini ma anche per quelli che iniziano ad avere familiarità con le letterine in modo da potersi divertire, con loro, copiando i disegni e dando loro un nome, magari iniziando a copiare qualcosina.

Non c'è un vero e proprio testo da leggere ma singole paroline che indicano parti del corpo oppure azioni comuni (come lavare i denti, tanto per capirci). Semplice ed anche stimolante se un adulto è accanto al piccolo lettore e ci mette un po' di fantasia.

***
Il mio corpo
YoYoBooks Editore
4.90 euro

mercoledì 16 giugno 2010

Nel bianco (Ken Follett)

Cosa può succedere in 24 ore, quelle a cavallo tra la vigilia di Natale e il 25 dicembre? Canti natalizi, regali da scartare, ricco banchetto e dolci a volontà... Baci sotto il vischio e auguri a go go.
Invece no. Non ovunque, se non altro.
La Scozia è in balia di una tempesta di neve senza precedenti: uno scenario da cartolina che sarebbe pure romantico se non ci si trovasse nel mezzo di un'emergenza bella e buona. Presso l'Oxenford Medical, dal laboratorio soprannominato "Il Cremlino" per via della massima sorveglianza a cui è sottoposto, sono state trafugate da un'area protetta due dosi di un farmaco sperimentale, un antidoto ad un virus letale capace di minacciare l'umanità intera. Si tratta del Madoba-2, una pericolosa variante del virus Ebola.
Un attacco al cuore di uno stabilimento super-protetto. Il ladro, un tecnico del laboratorio, muore perchè infettato dal virus e si apre una crisi pre-natalizia che mette tutti in guardia.
Ma non finisce qui perchè l'avventuara è appena iniziata. Non sarà l'unico attacco a cui l'Oxenford Medical verrà sottoposta e non sarà il più grave. Ci sarà un altro furto e stavolta sarà il virus ad essere trafugato.

Non vado oltre con la trama.

Nel bianco è il primo romanzo di Ken Follett che mi capita tra le mani. Ho trovato in biblioteca la sesta edizione, del gennaio 2005, edita da Mondadori. In 393 pagine vengono raccontate ore concitate. Il racconto di Follet è preciso e meticoloso. Usa un linguaggio semplice e diretto, immediato, fotografico. Sembra quasi di vedere davanti agli occhi le scene che descrive, tanto sono verosimili.

La storia, a dire il vero, mi è sembrata poco originale agli inizi: il classico virus mortale che minaccia l'umanità, il classico furto, il classico allarme e la classica ricerca dei malviventi responsabili del furto.
Ma andando avanti con la lettura mi sono resa conto che non era proprio così. Pur partendo da un'idea piuttosto sfruttata - anche dal punto di vista cinematografico - l'autore mette in piedi una storia che vede intrecciarsi destini, storie, sentimenti, paure. Tutto concentrato in poche, concitate ore.
La protagonista è Toni (Antonia) Gallo. Ex poliziotta, incaricata di garantire la sicurezza dell'Oxenford Medical. Una donna di carattere, pronta a fare del suo meglio per svolgere il suo lavoro come gli viene richiesto. Una ragazza forte e decisa ma anche particolarmente vulnerabile dal punto di vista sentimentale.
Sarà lei a dover affrontare la doppia crisi, nell'arco di poche ore, e a trovare il modo per venir fuori da entrambe le situazioni salvando il salvabile, senza creare eccessivo allarme tra la popolazione e, soprattutto, salvando la vita di quanti potrebbero essere minacciati dal virus trafugato.

Stanley Oxenford, il professor Oxenford è colui che tira avanti la baracca all'Oxenford Medical. E' lui l'inventore di medicinali di vario tipo, è il proprietario dell'azienda ed è lui che rischia di cadere in fallimento nel caso in cui le due vicende verificatesi alla vigilia di Natale dovessero avere un tragico epilogo. Nel primo caso le cose sembrano andare tutto sommato bene. Nel secondo, invece, la situazione è un po' ingarbugliata e difficile da affrontare. Soprattutto il pericolo è di gran lunga maggiore.

Kit Oxenford. E' il figlio di Stanley. Indebitato fino al collo, più volte ha chiesto aiuto al padre (dopo averlo derubato quando lavorava per lui e dopo essere stato, per questo, allontanato dal lavoro) e si trova nei guai con persone che lo infilano - suo malgrado - in un giro di terrorismo batteriologico. Sarà lui che, per sdebitarsi e sparire definitivamente dalla vita dei suoi familiari - si accorda con un gruppo di malviventi e viola "Il Cremlino".

Accanto a questi personaggi gravita tutta la storia. La famiglia Oxenford, in particolare, si troverà ad affrontare una inimmaginabile situazione. Verranno presentati diversi personaggi di cui si tracciano anche i caratteri in modo da poterne trasmettere in modo immediato le caratteristiche al lettore. Un'operazione che ben riesce a Ken Follet che propone - con un certto savoir faire - un buon intreccio, una buona suspance ed una storia che merita di essere letta.

L'autore mette in piedi una storia che si lascia leggere con curiosità ma che in alcuni passaggi mi è sembrata un tantino esagerata.
Esagerato, ad esempio, pensare che un ex dipendente (tra l'altro figlio del capo) cacciato perchè rubava all'azienda, responsabile della programmazione dei servizi di sicurezza, possa accedere con tanta facilità ai laboratori visto che nessuno, dopo il suo allontanamento, ha pensato di cambiare password o codici d'accesso al sistema. Un po' inverosimile se si ambienta il tutto in un laboratorio considerato inviolabile e protetto con mille precauzioni, elettroniche e non.

E poi vengono raccontate scene di violenza fisica (scontri tra i malviventi e coloro che capitano, loro malgrado, nelle loro grinfie) da cui sembrano uscire tutti - o quasi - illesi mentre nella realtà a subire ciò che subiscono l'uno o l'altro non si riuscirebbe certo a stare in piedi con tanta facilità.
Esagerazioni che aiutano a rendere l'idea di ciò che accade ma che hanno qualche cosa di assurdo in alcuni passaggi.

Si arriva al finale piuttosto in fretta. Dopo aver raccontato le vicende che si sono susseguite un'ora dopo l'altra in trecento pagine, nelle ultime 50 si hanno una serie di vicissitudini che portano alla conclusione della vicenda in modo piuttosto frettoloso.

Ho apprezzato molto il fatto che l'autore abbia utilizzato parecchi personaggi femminili (di solito si punta più sugli uomini in romanzi di questo tipo) e che abbiano anche avuto dei ruoli importanti. Non mi riferisco solo a Toni ma anche ad altri personaggi femminili importanti.

Si tratta di un thriller che si lascia leggere, incuriosisce e cattura. Una lettura che non mi ha delusa. Non conoscendo altri libri di Ken Follet non ho strumenti necessari per fare confronti: posso dire che si tratta di un romanzo ben scritto, scorrevole, semplice da leggere ed efficace nel racconto e nelle descrizioni. A parte qualche esagerazione (concediamola all'autore, suvvia... è pur sempre un romanzo frutto della sua fantasia) fa anche riflettere sui rischi che possono essere collegati alle sperimentazioni e al fatto che ci possa essere gente priva di scrupoli (come nel nostro romanzo) pur di fare soldi. Gente pronta a far scattare un'epidemia, a provocare milioni di morti (o a contribuire a che ciò avvenga) per soldi.

Una lettura che consiglio a chi ama la suspance e l'azione.
Il prezzo di copertina, sull'edizione che ho letto io, è 18.60 euro.
***
Nel bianco
Ken Follett
Mondadori Editore
393 pag.
18.60 euro

martedì 15 giugno 2010

Maschere avventurose (Emma Carlow)

Un libro da leggere, da guardare e... da indossare.
Non come un vestito ma comunque in modo originale e spiritoso per dare vita a mille avventure.
Maschere avventurose è uno degli ultimi libri che io e i miei bimbi abbiamo preso nella nostra biblioteca comunale: un libro quadrato nelle dimensioni, con una copertina accattivante per i più piccoli visto che al tatto mostra la presenza di stoffa (la bandana di un pirata) ed anche la promessa di trovare all'interno qualche cosa da indossare. Delle maschere, per la precisione.
Si tratta di un libro dalla copertina piuttosto spessa e con poche pagine. Lo si sfoglia in fretta: uno, due, tre, quattro. Fine. Anche le sue pagine sono in cartone pesante e quelle di destra hanno una caratteristica che ha incuriosito i miei piccoletti: sono delle pagine doppie che permettono di prelevare delle maschere che si possono indossare davvero, prendendole con una mano su un piccolo supporto laterale ed avvinandole poi al viso.
Non è un libro di storie inteso nel modo classico: sono proposte delle brevi frasi a tema, in abbinamento con la mascherina che poi si può indossare.
Una maschera da pirata, una da cow boy, una maschera da sub ed una da supereroe. Inutile dire che quella che è piaciuta di più al mio bimbo sia quella da supereroe!!!
Le frasi che si sommano ad una scena illustrata sulla pagina di sinistra servono ad introdurre una storia che poi si potrà sviluppare "a braccio" quando il bimbo indosserà la maschera.
L'abilità e la fantasia di un adulto, nello stimolare un racconto ogni volta nuovo quando il bimbo indossa la maschera, rende il libro vivo ed ogni volta pronto a raccontare qualche cosa di diverso.
E' un libro da maneggiare con cura: la presenza delle quattro maschere tattili lo rende un tantino delicato. Delicate sono le maschere che vanno sganciate dalla loro sede all'interno della pagina per essere indossate ma anche le pagine (che sono necessariamente pagine doppio) sono delicate seppur più spesse e resistenti del solito.
Si tratta di u nlibro illustrato da Emma Carlow la collana si completa con un altro libro dal titolo Maschere favolose che però non abbiamo ancora avuto modo di vedere.
Il prezzo di coperinta è di 9.90 euro, è edito da Emme Edizioni ed i miei bimbi si sono lasciati andare alla fantasia (aiutati dalla mamma).
Simpatica idea per stimolare la fantasia oltre che il tatto (visto che "toccare" un libro, o parti di esseo, è una cosa che ai bimbi piace molto e fonte di grande meraviglia).
***
Maschere avventurose
Emma Carlow
Emme Edizioni
9.90 euro

domenica 13 giugno 2010

Una virtù vacillante (Mishima Yukio)

Una donna virtuosa. Lo era sempre stata. Setsuko Fujii aveva sempre vissuto nella virtù, ligia ai doveri coniugali, avvolta nella tua tediosa e ripetitiva vita di ogni giorno senza fare obiezioni. E lo aveva fatto con l’orgoglio di chi affronta la vita con spirito di sacrificio, giorno dopo giorno.
Sestuko Fujii è la protagonista del romanzo scritto nel 1957 da Mishima Yukio, autore scomparso a 45 anni dopo essersi inflitto il seppuko, il suicidio rituale dei Samurai.
Io ho letto un’edizione recente, nella collana ET Scrittori Einaudi. Il prezzo di copertina è di 10,00 euro ma io, per fortuna, l’ho preso in prestito in biblioteca.
Dico per fortuna perché questo romanzo non mi è per niente piaciuto.

La storia è estremamente semplice e a dire il vero poco originale. La storia di un adulterio, un tradimento, una travolgente passione vissuta fuori dal matrimonio. Comunque la si voglia chiamare, la nostra Setsuko taglia definitivamente i ponti con la sua vita virtuosa per concedersi ad una passione carnale vissuta al di fuori del matrimonio. Una passione che nasce, raggiunge l’apice e lascia segni profondi fino all’inevitabile separazione ed al ritorno alla vita di sempre.
Tutto qui. Non ho trovato niente di così straordinario come viene indicato in copertina: “Un romanzo straordinario per la forza e la capacità di analisi dell’animo femminile”. Mha… da donna devo dire che l’analisi che ne viene fuori non mi è per niente piaciuta.

Ma andiamo con ordine.
Intanto non mi è piaciuto il titolo. Io l’avrei concepito diversamente perché, dopo aver letto il romanzo, ci si rende conto che non si tratta affatto di virtù vacillante ma a me sembra che si sia andati oltre il “vacillare”. Un titolo che comunque mi suona male.
Bella la copertina. Questo lo ammetto. Ma non basta a reggere le sorti del romanzo una bella immagine di una giovane donna ritratta senza veli, per quanto affascinante ed intrigante possa essere.
Non basta a rendere la lettura scorrevole. Lo stile utilizzato vuole essere ricercato ma l’uso di termini inusuali o comunque “eleganti” contribuisce solo a rendere meno scorrevoli i periodi e a render la lettura ferraginosa. A dire il vero, perdonatemi la cattiveria, ho pensato che non avendo molto da dire l’autore abbia voluto sfoggiare un linguaggio di un certo tipo per far dimenticare la pochezza della storia di fondo.

Un esempio?
La necessità di avere come unico oggetto sensuale Tsuchiya era ormai implicita in lei.
Eppure, più lo amava in modo esclusivo e condizionato dalla sua identità, più si accresceva l’importanza della sua funzione carnale in quanto archetipo universale della virilità, più diventava un essere anonimo
.
Tutto questo giro di parole era necessario? Tutto questo per dire che – pur dicendo di amarlo – lo considerava come un mero oggetto di soddisfazione sessuale? Questo ho capito, ma a fatica. E la lettura non è affatto scorrevole, farcita com’è di frasi di questo tipo.

In 134 pagine, strutturata in venti capitoli piuttosto brevi, viene narrato un periodo idilliaco vissuto dalla protagonista che, vivendo un matrimonio oramai diventato abitudinario, avendo accanto un marito perennemente dedito al lavoro e più attento ai rapporti professionali che a quelli personali con sua moglie, si dà inizialmente all’immaginazione. Vive di fantasie romantiche ed erotiche che non fanno male a nessuno perché celate a tutti gli altri tranne che a lei. Ma il passaggio dalla “teoria fantasiosa” alla pratica sarà breve.
Inizierà a frequentare un giovane le cui labbra l’avevano sfiorata da ragazzina e ben presto dal rapporto platonico ed immaginario con lui si passerà ad un’ardente pratica.
Tutto qui. Niente di più.

Setsuko viene descritta come una donna stretta nella morsa delle contraddizioni: la ragione o la passione, lo spirito o il corpo, l’abbandono o la razionalità…
Al di là della storia di fondo, quella dell’adulterio, che può piacere oppure no, quello che a me non è piaciuto è stata la personalità di quella donna, dipinta con a volte con i toni del grigio… Voglio dire che il bisogno di cercare altrove le attenzioni che il marito non le concede più (o che lei da suo marito rifiuta) è spesso rappresentato come un ulteriore sacrificio, come se lei stessa si sacrificasse alla voluttà altrui per sedare la sua sete incontrollabile di un contatto carnale e passionale. Viene spesso descritta come una donna che finge nei momenti intimi (pure con l’amante…) e fa discorsi che secondo me non stanno ne’ in cielo ne’ in terra.
Ok, è un romanzo scritto alla fine degli anni ’50 e si parla di una cultura che conosco poco, ma – e faccio solo un esempio per non svelare troppo della trama nel caso in cui qualcuno pensasse di leggere un romanzo così – il continuo riferimento al “sacrificio”, quasi come se Setsuko si immolasse ogni volta non si sa per che o per chi mi ha dato un gran fastidio.
SPOILER (evidenzia per leggere... viene svelata una parte della trama)
Restare incinta del proprio marito quando si è appena iniziato a frequentare un altro uomo (senza avervi avuto – ancora – alcun rapporto intimo) e abortire perché, dice, dare un figlio a suo marito avendo una relazione con un altro uomo vorrebbe dire tradirlo due volte… per cui è meglio abortire… Bhè, non vedo perché il sacrificio debba essere un bambino mai nato… e non sarà nemmeno l’unico visto che di aborti ne subirà anche altri, sempre intesi come sacrificio (facile sacrificarsi quando si toglie la vita agli altri…)… bhè, sarà pure parte di quella cultura ma io non l’ho proprio digerito.
FINE SPOILER
Non mi dilungo oltre per concludere sconsigliando la lettura di questo libro che mi ha lasciata con l’amaro in bocca.
Rispetto agli ultimi libri che ho letto le pagine non erano nemmeno molte ma devo dire che la lettura non è stata affatto scorrevole.
***
Una virtù vacillante
Mishima Yukio
Et Einaudi
134 pag.
10.00 euro

venerdì 11 giugno 2010

La tredicesima storia (Diane Setterfield)

Tutti noi abbiamo una storia, anche quando vorremmo che non fosse così. Anche quando vorremmo cambiare la direzione presa dalla nostra vita, quando le scelte che gli altri hanno fatto per noi ci hanno segnati in modo indelebile.

Tutti. Anche lei ha una storia. Margaret. Anche se vorrebbe tanto che non fosse così. Anche se tenta di convincersi che non sia così.

Margaret è la protagonista di un bellissimo romanzo che ho letto di recente, opera prima (e spero non ultima) di Diane Setterfield il cui nome, prima di leggere il suo libro, mi era del tutto nuovo.
La tredicesima storia. Un romanzo che mi ha coinvolta e sconvolta, che mi ha affascinata, incuriosita, convinta a portarlo sempre con me, in borsa, per approfittare di ogni momento che mi avesse permesso di isolarmi da tutto il resto e dedicarmi alla lettura di quella storia. O, meglio, di quelle storie.
Perché emergono storie che si intrecciano, segmenti di vita che sono tutte tessere di uno stesso – inimmaginabile – mosaico. Frammenti di vita che tracciano i contorni di un passato che sembra volersi nascondere ma che dà l’impressione di fremere per essere scoperto, conosciuto, svelato.
Margaret Lea è il nome della protagonista. Una giovane amante dei libri che viene contattata da una famosa scrittrice – Vida Winter – affinché raccolga i suoi racconti e ne stili una biografia. Una richiesta che la coglie impreparata sia perché lei non si è mai occupata di biografie di personaggi viventi sia perché conosce la fama di Vida Winter come di un personaggio enigmatico, poco propenso a parlare di se, molto incline a raccontare decine di storie false sulla sua vita. Una donna che inventa storie e ne fa romanzi. Non solo con i personaggi che pullulano nella sua mente ma anche con la sua, di vita, visto che tutti coloro che fino a quel momento hanno provato ad avere informazioni personali su di lei si sono trovati tra le mani un pugno di mosche.
Una donna sfuggente eppure tanto famosa, tanto conosciuta, tanto amata. Una donna di cui la giovane Margaret non sapeva più di tanto, tantomeno dei suoi romanzi che fino a quel momento non aveva mai letto. Una donna che l’aveva stupita fin da subito, quando si è trovata tra le mani un libro incompleto, con pagine bianche – edizione poi ritirata dal mercato e stampata con diverso titolo – in cui mancava una storia, la tredicesima.

Il romanzo prende le mosse da qui: dalla necessità di Vida Winter di raccontare la sua vita e dal dubbio di Margaret. Accettare un incarico così oppure no? Perché avrebbe scelto proprio lei? Sarebbe stata sincera o l’avrebbe presa in giro come ha fatto con tanti altri prima di lei?
La sua decisione arriva tutto sommato in fretta ed è un si.
Dal momento in cui Margaret metterà piede nella casa di Miss Winter si renderà subito conto di essere entrata in un mondo carico di mistero, di cose non dette, di luci ed ombre, di suoni e silenzi. Un mondo che si prepara a scoprire – volente o nolente – con il passare del tempo.
Non è mia intenzione narrare la trama del libro per una serie di motivi: per non togliere il gusto della lettura, in primis, ma anche perché non è facile raccontare questa storia in modo efficace senza sminuirla. Va gustata con curiosità e con attenzione perché tante sono le sfaccettature con cui misurarsi.

All’autrice va il merito di aver utilizzato un linguaggio accattivante, preciso, forbito ma mai difficile. Descrizioni ricche di particolari e precise, tali da indurre il lettore a sentire quei suoni, a vedere quelle ombre, ad avvertire quelle sensazioni sulla propria pelle. Uno stile mai pesante e capace di rendere fluide le parole, musicali nella mente di chi legge soprattutto quando vengono descritte le sensazioni che trapelano dalle pagine…
Il romanzo è davvero ricco di sensazioni, di sentimento, di paure, di perdite e conquiste. Ricco di personaggi. Anche di personaggi. Molti sono quelli che entrano ed escono dalla vita di Miss Vinter. Pochi quelli che fanno parte della vita di Margaret. Ecco, dunque, che le prime due vite che si intrecciano sono proprio quelle di queste due donne che si scelgono a vicenda. Miss Vinter sceglie Margaret dopo un’attenta valutazione che solo a libro inoltrato risulterà chiara. Margaret sceglie Miss Vinter come una specie di banco di prova che la coinvolge emotivamente, più che professionalmente. Si scelgono, si relazionano non senza difficoltà, si capiscono.
Margaret è una ragazza sola. Vive con suo padre e sua madre ma si sa di essere sola. Scopre di essere stata privata di una parte di se che continua ad essere vivo in lei e soffre di questa mancanza.
Miss Vinter è una donna malata, anziana, sofferente eppure pronta a scendere a compromessi con la sua malattia pur di raccontare la sua storia. Il racconto inizia da lontano, dai suoi nonni… I personaggi che vengono dipinti dalle sue parole sembrano prendere vita durante il racconto. E la storia ha inizio.

Una storia che narra di due bambine – Emmeline ed Adeline – molto particolari. Bambine strane, difficili, figlie inconsapevoli di un rapporto insano, legate da un sentimento che chi è come loro può capire: sono due gemelle.
La loro storia si struttura e si sviluppa assieme ad altre storie – quelle dei personaggi che vivranno con loro, dei loro genitori, di chi cercherà di aiutarle ed anche di coloro che, nel tentativo di aiutarle, faranno invece dei danno indelebili.
E’ una storia carica di sentimento ed anche di sorprese. Risvolti inaspettati sono dietro l’angolo. Intuizioni, presagi, segni, coincidenze che inizialmente passano inosservati agli occhi del lettore vengono invece analizzati dall’acume di Margaret come veri e propri elementi da cui si dipana la storia. E sarà davvero una sorpresa dietro l’altra a tenere il lettore incollato a quelle pagine.

412 pagine, per la precisione, per una storia suddivisa in capitoli che si lasciano leggere con voracità. Un libro che stuzzica l’intelligenza e la sensibilità del lettore, che lo lascia anche spiazzato in alcuni punti. Mai monotona, la scrittura è scorrevole e precisa.
Verso la fine del libro ho letto alcune pagine con meno interesse di tutto il resto… Sbagliando, però. Si tratta delle pagine di un diario alle quali mi sono relazionata come se non dicessero nulla di nuovo visto che si raccontava di vicende che erano state già narrate in precedenza. Niente di più sbagliato. Sarà proprio dalla lettura di queste pagine che emergono piccole ma importanti verità da cui arriverà una svolta.

L’edizione che ho trovato io in biblioteca è la prima, del marzo 2007 (Mondadori Editore, tradotto da Giovanna Granato) e mi ha incuriosita fin dal primo momento in cui mi sono trovata il libro tra le mani. In sovra copertina una foto di Giuliana Casarotti che propone il dorso di alcuni libri, opere di Vida Winter. Tra i tanti, però, ne manca uno.

Comincerò dall’inizio. Anche se l’inizio non è mai dove si pensa. Attribuiamo una tale importanza alle nostre vite da essere portati a pensare che la loro storia cominci con la nostra nascita. Prima non c’era niente, poi sono nata io… Ma così non è. Le vite umane sono pezzi di corda che si possono districare dal groviglio delle altre e distendere separatamente. Le famiglie sono reti. Impossibile sfiorarne una parte senza far vibrare tutto il resto. Impossibile capirne una parte senza farsi un’idea dell’insieme.

***
La tredicesima Storia
Diane Setterfield
Mondadori Editore
412 pag.
18.00 euro

mercoledì 9 giugno 2010

Paura di volare (Erica Jong)

E’ stato scritto nel 1973 ed io ero ancora in fasce. Lei, invece, l’autrice – Erica Jong - era alle prese con la pubblicazione del suo primo, scandaloso romanzo. Un romanzo che venne tacciato di pornografia, all’epoca, e che ebbe uno straordinario successo, tale da fargli da apripista per la sua carriera di scrittrice. Una carriera che era iniziata un paio d’anni prima con la pubblicazione di un libro di poesie.

Paura di volare è il romanzo dello scandalo. Il romanzo in cui è una donna a scrivere quasi come se, invece, la penna fosse maschile. Usando un linguaggio diretto e scandaloso all’epoca. Nel pieno del femminismo degli anni ’70 l’autrice dà voce agli appetiti sessuali di una donna – Isadora Wing – la protagonista del suo racconto come meno si conviene ad una donna!
Un racconto che in parte è autobiografico ma non si capisce bene dove finisca la realtà per dare spazio all’invenzione letteraria.

Un romanzo che ho cercato – l’ho preso in prestito in biblioteca in una edizione piuttosto vecchia, del 1979 – e che avevo immaginato un bel po’ diverso da ciò che, invece, mi sono trovata tra le mani.
E che non mi è piaciuto. Mi è sembrato noioso, ripetitivo, volgare. Nulla di pornografico, secondo me (lettrice del 2010…) ma parecchio di forzato, come se si volesse cercare lo scandalo ad ogni costo, con l’uso dei termini. Termini che a volte sono stati inseriti a sproposito, anche quando non servivano.

Un accenno alla storia.
Isadora Wing è una donna che incarna le contraddizioni di un’epoca. Una donna insoddisfatta. Insoddisfatta del suo io, del suo matrimonio, del suo passato, delle sue origini (continua a ripetere, anche qui a sproposito ed in modo noioso e ripetitivo, il fatto di essere ebrea), del suo presente. E dal futuro incerto. Una donna a cui il ruolo di moglie e lavapiatti di famiglia va stretto. Non lo vuole, non lo ha mai cercato e mai sarà il suo ruolo nella sua vita terrena. La sua vita si racconta in poche parole: una famiglia da cui scappare, la passione per la scrittura, un primo matrimonio fallito, un secondo matrimonio nel quale sta stretta e la continua, una incontrollabile paura di volare. Eppure la sua paura non le impedisce di spostarsi in aereo così come la sua insoddisfazione coniugale non le impedisce di continuare a portare avanti una vita che la soffoca e la opprime. Fino a che non arriverà ad una svolta (o quella che lei crede essere tale). Incontrerà un uomo che romperà il silente equilibrio in cui si è trincerata e sarà una passione incontrollabile a portarla a scegliere di compiere una pazzia: seguirlo in un viaggio fatto di tende ai margini della strada, birra a fiumi e sesso a volontà.
Il sesso. E’ il suo chiodo fisso. Ha sempre fatto fatica a tenere a bada le sue pulsioni sessuali pur avendo cercato di essere una moglie fedele.
Sente il bisogno di un trasporto fisico diverso da quello - ormai freddo e meccaniso - che vive in casa, lo cerca, lo desidera, lo sogna. Sogna di incontrare uno sconosciuto con cui consumare momenti di sesso sfrenato. Punto. Nessun coinvolgimento, nessuna domanda, nessuna parola. Un sogno, il suo, che rischierà anche di avverarsi. Un sogno che, nella pratica, prenderà le sembianze di una serie di uomini sconosciuti e sempre più numerosi tra un matrimonio e l’altro e che, durante il suo insoddisfacente matrimonio con il dottor Wing, avrà le sembianze di Adrian. Il suo corpo, la sua passione, il suo modo di fare l’amore con lei.
E’ una donna che, da sempre, ha vissuto accerchiata da psicanalisti, con molti dei quali è stata in analisi fin da ragazzina: continuamente in analisi, ha finito per sposare un analista e per andare a letto con un analista diventato suo amante.
Quella con Adrian non sarà l’occasione di un momento. Sarà l’incontro anelato da tempo: vede in lui quella libertà che le manca da sempre. Si sente libera con lui, libera di andarsene in giro per il mondo senza problemi e senza programmi. O almeno è quello che crede.
Una storia che mi ha lasciata un bel po’ perplessa. L’autrice narra vicende con dovizia di particolari sotto certi punti di vista ma nel narrare la storia di fondo si perde spesso in racconti di tempi passati, narrazione di ricordi e vicende vissute che staccano troppo l’attenzione dalla storia di fondo. Almeno a me a fatto questo effetto.

Lo stile di scrittura è uno stile schietto, diretto, quasi urlato. Uno stile che poco si addice ad una donna e che per questo tanto scalpore ha fatto all’epoca.
Personalmente trovo che sia una narrazione troppo dispersiva e ripetitiva ma, soprattutto, un forzatura lessicale continua. Quella ossessiva voglia di inserire termini volgari, di sottolineare situazioni con frasi ad effetto ma che, alla fine, appesantiscono solo la narrazione, quella fretta nel voler dare scandalo a tutti i costi non rende affatto la narrazione piacevole. Tutt’altro.
Nel leggere una riga dopo l’altra, una pagina dopo l’altra, non solo non sono riuscita a trovare nulla di erotico o vagamente sensuale, ma la sensazione che ho avuto è stata quasi quella di “nausea” per un atteggiamento esageratamente estremizzato.
La descrizione che l’autrice fa di Isadora come di una donna insaziabile, dall’appetito sessuale incommensurabile mi ha reso, invece che l’idea di una donna sensuale e conscia della propria sessualità, quella di una eccessiva volgarità anche nei momenti più delicati ed intensi.
E poi trovo esagerato, davvero esagerato, quel modo di raccontare esperienze sessuali casuali, con tutti gli uomini che le capitavano a tiro – in un certo periodo della sua vita – come se fosse una calamita vivente capace di catturare una serie infinita di uomini pronti ad un rapporto sessuale con lei (ovviamente denominato in modo volgare, mai “rapporto intimo” o “rapporto sessuale”).

Credo che lo stile utilizzato sia il frutto di una profonda voglia di ribellarsi ad uno status che per troppi anni è stato quello secondo il quale l’uomo comanda, l’uomo fa godere la donna ed è il suo unico strumento di piacere, la donna deve assecondare l’uomo in tutto e per tutto.
Erica Jong declina il discorso al femminile. E’ una donna che usa gli uomini per i suoi appetiti sessuali, è una donna che decide di darsi alla fuga con un amante abbandonando di punto in bianco un marito che, poi….

Non svelo il finale… Mi limito a dire che mi ha irritato leggere di un marito quasi accondiscendente davanti al tradimento della moglie sotto al suo naso come se la cosa non lo toccasse. Mi ha irritato quel modo di fare così ribelle che, a ben guardare, altro non era se non un modo per dimostrare di valere qualche cosa a se stessa prima che agli altri. Mi ha irritato il finale. Un finale marcatamente femminista che non mi ha reso per niente la storia più piacevole di quanto non siano state le narrazioni precedenti. Ho avuto l’impressione che si trattasse di una sorta di finale aperto, come se l’autrice non avesse voluto permette a Isadora di assumersi le sue responsabilità e di pagare il conto delle sue azioni. Il finale resta sospeso così come la storia narrata resta in sospeso tra i vari ricordi che l’autrice infila a destra e a manca.
Mi ha anche irritato, dal punto di vista stilistico, l’uso di continui interrogativi che la protagonista si poneva in continuazione. Interrogativi che abbondano in ogni parte del libro, in ogni capitolo. Spesso interrogativi senza risposta buttati là, ho avuto l’impressione, come se si volesse far capire che in un modo o nell’altro la protagonista si poneva in modo critico davanti agli accadimenti. Ma non è un metodo efficace, secondo me. Anzi, piuttosto noioso e ripetitivo.
Noia che raggiunge i massimi livelli quando l’autrice si lascia ad elenchi tanto lunghi quanto pesanti. Probabilmente non è facile avere un’idea di ciò che intendo per “noioso”…

Magari faccio un esempio. Nel parlare del suo primo – pazzo – marito, Isadora lo descrive come segue.
"Non conosceva soltanto la storia medievale e quella romana, i filosofi del Rinascimento e i primi padri della Chiesa, le investiture e le deposizioni, Riccardo Cuor di Leone e Rollo, Duca di Normandia, Abelardo e Alcuino, Alessandro Magno e Alfredo il Grande, Burckhardt e Beowulf, Averroé e Avignone, la poesia goliardica e la riforma gregoriana, Enrico il Leone ed Eraclito, la natura dell’eresia e le opere di Thomas Hobbes, Giuliano l’Apostata e Jacopone da Todi, il Nibelungenlied e la storia del nominalismo, ma sapeva tutto su vendemmie e ristoranti, conosceva i nomi dei tutti gli alberi che crescevano a Central Park, il sesso dei ginko di Morningside Drive, i nomi degli uccelli, i nomi dei fiori, le date di nascita dei figli di Shakespeare ...” ed ancora così per righe e righe! Una noia mortale, tanto che spesso ho avuto la tentazione di saltare intere pagine di elenchi di questo tipo.
E poi la descrizione dei suoi impulsi sessuali… Più che l’uso di termini volgari ad hoc non ho trovato. Evito esempi per un certo contegno ma, vi assicuro, non l’ho trovata affatto una lettura interessante.
Il profilo del secondo marito, Bennet (il primo finì in manicomio per evidenti squilibri mentali) è come se fosse tracciato a carboncino, tanto per accennarne la fisionomia senza dargli, però, troppo spessore.
Così come l’amante di lei, Adrian che passa dall'essere l'ideale di uomo miracolosamente comparso davanti a lei all'essere il bastardo di turno (per via di ciò che farà).
Un modo come un altro per ribaltare la situazione dopo anni di storie raccontate da penne maschili stavolta è stata una “penna rosa” a portare scompiglio.

Credo che lo scandalo ed il relativo successo siano tutti qui. Una donna che si “permette” di scrivere certe cose in modo tanto sfrontato.
Immagino che si sia capito che a me questo libro è piaciuto poco. Le 422 pagine che ho letto mi hanno lasciato addosso solo amarezza per una figura femminile che non mi è piaciuta e per una storia che, nel complesso, non mi sembra molto efficace.

lunedì 7 giugno 2010

Fanny Hill. Ricordi di una donna di piacere (John Cleland)

Finire in galera per colpa della propria penna… e delle proprie fantasie erotiche. E’ quello che è capitato all’autore di uno dei più noti romanzi a sfondo sessuale della storia, John Cleland, scrittore inglese passato alla storia per quello che è stato additato, all’epoca, come uno scandaloso romanzo pornografico.
Tanto da costargli la galera. Tanto da costargli nuovamente la galera, aggiungo, visto che vi era già finito per non aver saldato un debito. Fu proprio durante la sua prima prigionia che diede libero sfogo alla sua fantasia erotica scrivendo quel romanzo che, poco più tardi dalla sua scarcerazione, lo ricondusse dietro le sbarre assieme agli editori e agli stampatori di Fanny Hill. Romanzo pubblicato in due parti: l’una nel novembre 1748 e nel febbraio 1749. Non è difficile immaginare quanto, a quell’epoca, un romanzo in cui scene di sesso vengono descritte in modo molto preciso - seppur con un colorito linguaggio metaforico - possa aver dato scandalo. Tanto più per le circostanze in cui tali incontri di piacere venivano allocati!

Il titolo completo del romanzo è Fanny Hill. Memorie di una donna di piacere.
Sesso, dunque, ancor più aggravato dal fatto che sia mercenario. L’edizione che ho letto io propone una traduzione diversa del titolo: Fanny Hill. Ricordi di una donna di piacere. Questo è quanto scritto in copertina dell’edizione che ho trovato io in biblioteca, la prima edizione del 1978 edita da BUR (Biblioteca Universitaria Rizzoli).
Sono diverse le edizioni in circolazione per un romanzo travagliato nella sua esistenza. Tanto travagliato quanto scandaloso. Durante il processo che lo vide imputato per le sue sconcezze – tanto per rendere conto di cosa intenda per travagliato Cleland disconosce il suo romanzo e si augura – pubblicamente – che venga seppellito e dimenticato. Così, almeno, si racconta. Successivamente al processo il libro venne ritirato dal mercato e non più in circolazione. Legalmente. Perché malgrado non verrà più pubblicato per un centinaio d’anni, ne sono sempre circolate molte edizioni “pirata” reperibili sul mercato nero senza troppi problemi. Come ogni cosa che dà scandalo, più è la censura nei suo confronti, più è il suo successo. E così è avvenuto.
Nel periodo in cui sono circolate molte edizioni pirata, una di queste venne messa in circolazione con un capitolo nuovo, non presente nel manoscritto originale.
Un capitolo in cui si narra un episodio di piacere omosessuale maschile, capitolo che Cleland non ha mai sottoscritto come di propria matrice.

Nel 1750 l’autore propone una nuova versione della storia, anche questa censurata dalle autorità dell’epoca ma con minori conseguenze per l’autore. Nuova censura, nuovo processo. Non è chiaro se questa seconda censura fosse dovuta a nuovi capitoli ancor più spinti – si è anche parlato di una scena di sodomia fortemente censurata – ma stavolta l’autore non finisce di nuovo in galera visto che le accuse contro di lui vengono fatte cadere e il romanzo resta regolarmente in circolazione.
Si narra, però, che nel necrologio comparso in occasione della sua morte, si disse che il governo aveva accordato a Cleland una rendita annuale purché non scrivesse più oscenità…

Una premessa dovuta, questa, per fare chiarezza sulle difformità delle edizioni in circolazione all’epoca ed anche su una certa differenza tra le varie in circolazione oggi (stampe più o meno recenti) oltre che sulla mia incapacità di dire se il libro che ho letto io sia una versione integrale oppure no.
Posso solo dire che per quanto riguarda due delle circostanze più eclatanti – la scena di sodomia e quella di omosessualità maschile – nel libro che ho letto io se ne ha traccia in diversa entità.
Per quanto riguarda il capitolo aggiunto all’insaputa di Cleland non se ne trova traccia. Si legge solo un leggero passaggio nel quale si racconta di un tentativo di andar per la strada sbagliata da parte di uno degli uomini di cui è farcito il racconto nei confronti di una collega di Fanny ma l’atto non solo non viene descritto nella sua esplicitazione ma si fa subito intendere che si sia trattato di un incidente di percorso rimasto come tale.
Quanto alla scena di omosessualità maschile si narra di un incontro amoroso tra due uomini che viene spiato da Fanny ma, mentre in altre circostanze la descrizione che viene fatta di quanto accade è molto minuziosa ed esplicita, in questo caso l’autore si limita a dare atto di quell’incontro che viene definito come comportamento criminale con conseguente censura netta e decisa da parte di chi concepisce come innaturale tutto ciò che non avvenga entro i canoni della sessualità intesa come rapporto fisico tra uomo e donna.

Fanny (Frances) Hill. E’ lei la protagonista di un così tanto chiacchierato libro. Una giovane ragazzina di campagna rimasta orfana a poco meno di quindici anni e destinata a cavarsela da sola in un mondo che le è sconosciuto e che affronta con quell’ingenuità che è propria di una ragazzina della sua età, per di più proveniente da un ambiente rustico come quello in cui è nata e cresciuta.

Il libro è strutturato in due parti che altro non sono se non due lettere scritte da una Fanny oramai matura che racconta ad una Signora, per mezzo di due lettere distinte ma consequenziali l’una all’altra, i tratti che hanno segnato la sua vita di ragazzina ingenua prima, di giovane donna di piacere poi.
Non ancora quindicenne si trova in una nuova città, una Londra della metà del 1700, a cercare un lavoro per mantenersi. Si imbatte subito in una signora che i suoi occhi di ragazzina di campagna vedono come una benevola datrice di lavoro alla quale portare rispetto ed essere riconoscente per averla tolta da un destino incerto. Sarà proprio questo il suo primo contatto con un mondo che solo più avanti le diverrà familiare. Sarà proprio in questo ambiente che inizierà a conoscere gli istinti più intimi del suo corpo in fiore, conoscerà le attenzioni di una donna nei suoi confronti e scoprirà i suoi primi desideri carnali. Desideri che rischiano di venire sprecati alla mercé di un galantuomo a lei poco gradito, pronto a cogliere il più fresco frutto della sua giovinezza senza che lei riesca a rendersi conto, del tutto, di ciò che la sua salvatrice sta concordando (con notevole guadagno economico) alle sue spalle. Riuscirà a sfuggire a questa circostanza grazie all’incontro della sua vita: Fanny incontra un giovane – il bel Charles – che sarà il suo amore eterno anche se non eternamente vicino a lei. Un giovane di cui si innamora nell’arco di pochi attimi e grazie al quale riesce a scampare ad una sorte che sembrava già segnata.

Ma il destino non è benevolo con la giovane Fanny che ben presto si troverà – per cause di forza maggiore – a vivere nuove esperienze amorose pur avendo sempre nel cuore il suo adorato Charles fino a che… prenderà consapevolezza del suo destino di donna pubblica, donna di piacere. Fanny, forte di un fisico perfetto, nel fiore degli anni, e sempre capace di lasciar trasparire la sua indole di ingenua ragazza di campagna, avrà un gran successo ed anche un pizzico di fortuna…
Non svelo la trama se non a brevi accenni per non togliere il gusto della lettura.

Intanto si tratta di un racconto fatto da un uomo che non può che immaginare tutto ciò che Fanny sente o prova sia dal punto di vista sentimentale che fisico. Un uomo che descrive il desiderio femminile e la sua soddisfazione sempre con l’obiettività maschile. Ecco, dunque, che si legge un’attenzione esagerata alle misure del sesso maschile (quasi come se l’autore volesse sottolineare da una parte la sempre più accentuata prestanza fisica del sesso forte e, allo stesso tempo, il desiderio delle protagoniste femminili di imbattersi in uno strumento di piacere di taglia strong per ottenere la massima soddisfazione). Tutti i protagonisti – tranne uno – sono straordinariamente dotati, prestanti, capaci di soddisfare più e più volte la donna del momento.

La donna viene descritta sempre come in posizione di svantaggio nei confronti di qualcuno a cui sottomettersi o essere riconoscente. Fanny si sente obbligata nei confronti della signora che le offre un lavoro, prima, del giovanotto che la salva dalla vita di donnaccia poi e altre volte ancora, da lì in avanti, si rivolgerà ai vari uomini con cui avrà a che fare definendoli come suoi padroni, coloro a cui appartenere e coloro da servire. Una eterna riconoscenza che viene vista sempre con gli occhi di una innocente giovane (è poco più che diciannovenne quando è nel pieno del suo esercizio di donna di piacere, per cui giovanissima). Infondo è una mantenuta, a prescindere dal fatto che accetti questa condizione con accondiscendenza o meno.

La condizione di donna di piacere viene sempre descritta come una condizione accettata di buon grado, ogni incontro sessuale viene descritto come di massimo piacere e massima gratificazione per entrambi i partners, mai una volta che si descriva la reticenza di Fanny o delle sue compagne nei confronti di qualcuno tranne che nella prima, traumatica, esperienza da quindicenne. Sempre, anche nei casi più estremi, Fanny si trova in una situazione piacevole, Fanny è riconoscente per il desiderio placato dal suo cavaliere, Fanny è compiacente senza riserve. Quasi come se vendesse il suo corpo per necessità fisica più che economica.
La condizione di mantenuta viene descritta come una condizione molto comune all’epoca e probabilmente anche questo, oltre che le descrizioni meticolose dell’atto sessuale, suscitò tanto scalpore soprattutto perché erano uomini facoltosi (non necessariamente di una certa età) a potersi permettere una mantenuta.

E poi sono sempre minorenni le giovani che vengono indirizzate – in un modo più o meno consapevole – alla vita di donna di piacere… Tanto che la carriera di Fanny inizia a 15 anni e finisce (per sua fortuna) a 19.
Fanny – cosa che mi ha innervosita in più punti – viene descritta come un’ingenua cronica, che rasenta la stupidità soprattutto nella parte iniziale del racconto. Anche davanti all’evidenza vede tutto ciò che le accade come avvolto da una patina dorata. E l’accettazione riconoscente di ciò che le accade mi ha davvero innervosita!

Il linguaggio utilizzato è metaforico, mai volgare ma sempre molto preciso e capace di dipingere ogni scena con i colori più vivi e più accesi del desiderio e della soddisfazione. L’atto sessuale viene esaltato nella sua accezione più positiva e giocosa. Sempre. E viene fatto passare come una necessità femminile alla quale le protagoniste non riescono a sottrarsi mai. Nemmeno quando si sta perpetrando un abuso bello e buono. Si perdona l’abuso, si perdona la violenza, si accetta il dolore in nome della necessità di soddisfare i propri improrogabili istinti sessuali. A prescindere dal fatto che si stia parlando di donne di piacere, ho avuto l’impressione che Cleland abbia voluto calcare parecchio la mano su questo aspetto.

Delle donne di piacere esce un profilo positivo. Capaci di nascondere al meglio la loro occupazione principale, sono donne che riescono a trarre vantaggio da ogni situazione e ad uscire sempre a testa alta anche dalle situazioni più difficili ed imbarazzanti.
Trovo esagerate, in alcuni passaggi, le descrizioni degli atti sessuali che portano alla perdita della verginità delle protagoniste. Descrizioni enfatizzate, frutto della pura fantasia di un uomo che nulla può sapere di ciò che, realmente, voglia dire per una donna passare della condizione di illibata a quella di donna. Nulla può sapere, tra l’altro, di ciò che realmente voglia dire avere un rapporto fisico con un uomo se non il riflesso di ciò che può immaginare un uomo alla luce della sua esperienza. Ma esperienza di uomo è, ed esperienza di uomo resta!

Il libro che ho letto io costava, all’epoca, 1.800 lire! In 255 pagine viene celebrato il piacere come massima aspirazione di ogni donna (oltre che di ogni uomo): anelato, cercato, desiderato, il piacere è quell’obiettivo che si ha fisso in mente e che nel momento in cui viene raggiunto provoca un tale turbinio di sensazioni da indurre spesso i protagonisti allo svenimento. Eccessi che donano colori ancora più accesi ad un dipinto realizzato in punta di penna, con un lessico armonioso e musicale, spinto ma mai volgare.
Un passaggio "tranquillo", a mo’ di esempio.
A mio avviso, avrebbe dimostrato di non essere assolutamente una buongustaia una donna che non fosse stata disposta a pranzare di buon appetito con un piatto che la natura pareva aver fatto esclusivamente per una dieta ristretta di piacere.

Fanny Hill ha rappresentato per tanto tempo uno scandalo letterario. Censura dopo censura, tanti furono i lettori che, più o meno alla luce del sole, lo lessero e ne trassero scompiglio!
Letto in tempi moderni, non vi trovo nulla di pornografico. Di erotico, quello si. Ma comunque rispettoso e di un valore letterario imprescindibile. Credo che la pornografia sia altro! Ma lo dico oggi, lettrice del 2010. Tre secoli fa non avrei mai potuto pensare di leggere qualche cosa di tanto sconveniente e sconvolgente per una giovine donzella!
***
Fanny Hill. Ricordi di una donna di piacere
BUR Editore(Biblioteca Universitaria Rizzoli), 1978
pag. 255
1.800 lire (all'epoca)

sabato 5 giugno 2010

Niente di vero tranne gli occhi (Giorgio Faletti)

Il primo libro di Giorgio Faletti mi ha tenuta in piedi un paio di notti, tanta era la voglia di arrivare alla fine.
Il secondo - Niente di vero tranne gli occhi - malgrado un inizio che mi sembrava il preludio di una delusione, ha avuto su di me lo stesso identico effetto.

499 pagine che non mi hanno affatto spaventata al momento dell'acquisto perchè viaggiavo sulle ali della curiosità, dopo la soddisfazione provata nella lettura del romanzo d'esordio di Faletti.
Un prezzzo accessibile - otto euro e novanta - per quella che ho poi letto all'interno della copertina essere la sesta edizione del libro, anno 2005, Baldini Castoldi Dalai editore (lo stesso di Io uccido).

Una storia carica di mistero, con una serie di uccisioni molto singolari non tanto nelle modalità di esecuzione quando negli indizi chiaramente lasciati dall'omicida. Posizioni, accessori, scene che dipingevano la scena di ogni delitto come una striscia di un fumetto.... Avete presente Snoopy, Lucy e tutti gli altri? Proprio quel fumetto, quei personaggi, quella logica che li rendeva l'uno collegato agli altri.
Ma secondo quale logica? Quale legame? E quale sarebbe stata la mossa successiva, quella che l'autore dei delitti lasciava in qualche modo intendere dai messaggi lanciati ogni volta? Non omicidi punto e basta. Omicidi con messaggi ben precisi, da decifrare, interpretare, studiare, capire.

Due i personaggi che vedranno improvvisamente intrecciare le loro vite in un legame talmente profondo da segnare le loro esistenze per sempre.
Lui, Jordan Marsalis, ex tenente del NY Police Department che dalla sua New York stava scappando, si stava allontanando in sella alla sua Ducati 999. O, almeno, era pronto per farlo quando una improvvisa ed inaspettata telefonata di suo fratello, il sindaco di New York, gli impone di posare casco e guanti, scendere dalla moto e rivedere i suoi piani. La prima vittima del misterioso assassino è suo nipote, figlio di suo fratello, figlio del sindaco di New York. Da qui prende le mosse una storia che vedra aggiungere altre due lapidi a quella di Gerald Marsalis, questo il nome della prima vittima, alias Jerry Kho.

Dall'altra parte del mondo c'è lei, Maureen Martini. Una giovane donna non ancora trentenne, commissario della polizia di Roma, occhi e capelli neri, fisico asciutto ed un futuro che sarà segnato da un tragico episodio. Un episodio che le segnerà la vita per sempre. Perderà l'amore ed anche il suo fisico avrà dei risvolti piuttosto preoccupanti fino a che....

Fino a che la sua vita non viene stravolta da un accadimento misterioso e difficile da definire. Un avvenimento che la porterà a suonare al portone dell'ufficio del sindaco di New York e ad affrontare assieme a Jordan Marsalis un'avvenutara che mai e poi mai avrebbe immaginato di poter vivere così da vicino.

L'impressione iniziale, nelle prime pagine del libro, non è stata quella che poi è maturata in me durante la lettura.
Perchè? Perchè le prime scene che vengono descritte, con la capacità descrittiva che mi ha fatto apprezzare già nel primo libro l'abilità di Faletti nel rendere partecipe il lettore tanto da avere quasi le scene davanti agli occhi, sono scene piuttosto forti. Non dal punto di vista macabro o d'orrore... No no. Faletti descrive scene di morte ma lo fa in modo elegante, rendendo ogni mossa come una sorta di danza delle parole tanto da non scadere mai nell'horror disgustoso che in altre pagine di altri libri si possono leggere. Faletti apre il libro descrivento momenti di sesso che hanno per protagonista la prima sfortunata vittima... scene forti, sulla stessa falsariga, che saranno descritte anche più avanti.
Sulle prime ho considerato queste descrizioni come una caduta di stile per Faletti. Solo più avanti ho capito ed apprezzato.
Ogni descrizione, ogni singola parole, ogni termine (soprattutto quelli più forti, mai volgari) hanno un compito ben preciso nel romanzo: quello di rendere l'idea della vita che facevano i vari personaggi. Una vita fatta di vizio, di perdizione, di squallore nascosti dietro ad una facciata più o meno evidente, più o meno convincente. Così è per Jerry Kho, così sarà per la vittima successiva.
La lettura scorre un po' a rilento agli inizi del romanzo. E' come se Faletti permettesse al lettore di mettere bene a fuoco le varie ambientazioni, i vari personaggi scrutandoli nel loro intimo. Pian piano che la lettura va avanti la storia si fa più magnetica, più intrigante, più coinvolgente tanto che più o meno a metà romanzo ho iniziato a leggere con impazienza, con la voglia di saltare qualche riga pur di arrivare all'epilogo.

Con questo secondo romanzo Giorgio Faletti non mi ha delusa. Come, peraltro, non ha fatto con il primo.
***
Niente di vero tranne gli occhi
Giorgio Faletti
Baldini Castoldi Dalai Editore
499 pagine
8.90 euro